Nella storia culturale italiana ci sono date ormai ampiamente fissate nell’immaginario collettivo e altre che, a una prima riflessione, possono risultare insignificanti per una buona fetta di popolazione ma non agli amanti di una data categoria. È questo il caso della ricorrenza odierna che abbiamo scelto di portare all’attenzione dei nostri lettori: non da molto tempo, dal 2020 per l’esattezza, il 20 gennaio si celebra la Giornata mondiale del cinema italiano che, non casualmente, ricade del giorno dell’anniversario della nascita del celebre regista Federico Fellini, simbolo del cinema made in Italy.
Tuttavia non si esagera nel definire parimenti un simbolo, ma al femminile, Suso Cecchi d’Amico, al secolo Giovanna Cecchi, sceneggiatrice cinematografica, nata a Roma il 21 luglio 1914 e il cui atto di nascita è liberamente consultabile sul Portale Antenati (Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1914). Figlia di Emilio, scrittore e critico letterario, e di Leonetta Pieraccini, pittrice, a partire dal secondo dopoguerra comincia a collaborare con il padre alla traduzione di alcune regie teatrali. Ma il suo debutto nel mondo cinematografico avviene con la sceneggiatura di un film che non vide mai la luce, Avatar, tratto da un racconto di Théophile Gautier, a cui lavora insieme agli amici Alberto Moravia, Ennio Flaiano e Renato Castellani. Il vero debutto ha luogo nel 1946 con Renato Castellani (Mio figlio professore) e Marcello Pagliero (Roma città libera), ma già due anni dopo lavora a Ladri di biciclette e l’idea del finale porta proprio la sua firma. Di una carriera che conta oltre 150 titoli tra cui una lunga serie di capolavori, come Senso, Le amiche, I soliti ignoti, Il Gattopardo, Pinocchio e Cuore (per la tv), e sodalizi con registi del calibro di Luchino Visconti, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Ennio Flaiano, si può affermare che Suso Cecchi d’Amico sia stata il cinema italiano per più di mezzo secolo. Il primo premio ufficiale è il Nastro d’argento per Vivere in pace di Luigi Zampa nel 1947; l’ultimo è il Leone d’oro alla carriera alla Mostra di Venezia del 1994. In mezzo sette Nastri, tre David di Donatello alla carriera e un Premio in suo onore istituito nell’amata Castiglioncello ma soprattutto il suo lascito, che consiste nell’amore per il cinema e nella sua curiosità “professionale”. «Come scrive il mio collega Carrière - ha detto una volta -, la sceneggiatura è il bozzolo, e il film la farfalla. Il bozzolo ha già in sé il film, ma è uno stato transitorio destinato a trasformarsi e a sparire. Lo sceneggiatore deve impadronirsi al meglio della materia e lavorarci poi con il regista e con i colleghi per trarne una proposta valida in assoluto, mirata a sfruttare al massimo le possibilità del regista ed evitando il pericolo di fare letteratura. Deve scrivere con gli occhi».
Fonti:
Enciclopedia del cinema Treccani